Lamberto Morosini

Storica giostra del Pitu (Tonco, 21 aprile 2024)

Partecipare alla Festa del Pitu significa ricondursi alle origini popolari del Carnevale, per cogliere aspetti rilevanti delle classi subalterne, soprattutto dei contadini e del modo in cui essi hanno concepito la festa, la religione, il lavoro nelle società fondate sull'agricoltura.
Le origini della festa sono religiose e si qualificano, come riti di fertilità legati all'inizio del ciclo stagionale agricolo: alla fine dell'inverno, quando sta per iniziare il nuovo ciclo della produzione, in agricoltura sorge l'esigenza di assicurarsi il favore divino per un raccolto sicuro ed abbondante.
La Festa del Pitu è un antico rito popolare propiziatorio contadino, che è riuscito a conservare intatti, nel corso dei secoli, tutti gli elementi originali della cerimonia.
L'antico costume di cacciare le potenze del male e di scaricare addosso al capro espiatorio (il Pitu) tutti i mali che hanno afflitto il popolo durante l'anno trascorso, è il modo per consentire alla comunità di iniziare il nuovo ciclo sotto i migliori auspici.
La purificazione trova attuazione attraverso il 'processo' e la 'condanna' del Pitu.
La parte centrale della manifestazione (processo, condanna, testamento e giostra equestre) è preceduta da un corteo storico, che rievoca un personaggio molto importante della storia, che ha reso il nome di Tonco conosciuto nel mondo: Gerardo di Tonco, fondatore dell'Ordine di San Giovanni in Gerusalemme, divenuto poi Sovrano Ordine Militare di Malta.
Come tradizione il corteo è aperto dalla storica banda tonchese “La Bersagliera”.
Tale corteo si chiude con la sfilata dei vari borghi che, allo scopo di riscoprire e valorizzare le antiche tradizioni fra cui il ballo del 'Brando', inscenano momenti di vita quotidiana tramite carri allegorici.
Il Pitu imprigionato viene quindi condotto davanti ad un tribunale, allestito in piazza, dove i giudici togati lo processano in un incalzare di schermaglie verbali, in dialetto locale, tra la pubblica accusa ed il Pitu, che cerca inutilmente di difendersi.
Al termine del processo iniquo, il Pitu viene condannato a morte e chiede, come ultimo desiderio, di fare pubblicamente testamento: ecco che abbiamo un altro momento di satira e di costume, per rilevare ancora fatti, per colpire ancora ironicamente persone del luogo, per spiattellare in piazza, tra risate, consensi, gesti di disapprovazione, piccoli vizi e difetti della comunità.
Dopo essersi così vendicato, il Pitu lascia ad ogni Rione una parte significativa del proprio corpo, motivandone la scelta con commenti alquanto salaci e pungenti.
Questo momento aveva assunto durante il Medioevo un'importanza fondamentale nella storia delle classi subalterne.
Era, infatti, l'unica occasione in cui i contadini potevano vivere l'illusione di una vita diversa, nella quale era possibile dire quello che pensavano.
In quel particolare momento il Feudatario concedeva, al popolo la libertà di scaricare sul capro espiatorio (il Pitu), nel quale era (tacitamente) identificato il signore, tutta la rabbia accumulata durante l'anno trascorso.
Pur consapevole di questa silenziosa e nascosta identificazione, il Feudatario accettava di buon grado la situazione, purchè non superasse i limiti da lui stesso fissati.
Questa tradizione è oggi ancora ben viva ed il Pitu, nel suo testamento, ancora prende gusto a colpire le autorità pubbliche ed i personaggi più in vista del luogo.
Dopo corteo storico, sfilata dei carri agresti, processo e condanna al pitu ha luogo la corsa vera e propria.
Il Pitu viene appeso al centro della piazza ed inizia una spettacolare giostra equestre fra le urla di  incoraggiamento o i motteggi dei borghigiani.
I cavalieri, uno per ogni rione, si lanciano al galoppo e cercano di vincere la competizione staccando il capo al simulacro.
A colui che riesce nell'impresa spetta l'onore ed il suo borgo lo festeggia dando inizio alla caratteristica danza del 'brando', accompagnato dalla famosa banda 'La Bersagliera'. 
Nella Festa del pitu , il ballo del 'Brando', costituito essenzialmente da una variante della monferrina, dà inizio ai festeggiamenti al termine della giostra equestre.
L'esistenza del ballo è documentata fin dalla prima metà del Seicento, in un'opera dello scrittore provenzale Claude Brueys e tra i balli che vennero eseguiti in piazza a Torino nel 1643, per i festeggiamenti del compleanno della reggente Maria Cristina.
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